Sono arrivato nel magazzino siciliano in una calda mattina di luglio. Attorno al capannone di circa 5000 m2 soltanto
campagna brulla, sterpi e qualche pecora arginata da recinti acconciati
con vecchie reti di letti e qualche metro di filo spinato. Tutto
somigliava ben poco a quello che si potrebbe definire un polo
industriale sviluppato. Il mio compito qui
era quello di supportare e integrare la manodopera locale, quest’ultima
composta da quindici operai, nel trasferimento del magazzino di
componenti elettrici dalla zona di Capaci (Pa) a quella di Catania. Continua a leggere
sabato 1 novembre 2014
giovedì 1 maggio 2014
Identità operaia nell’evoluzione della fabbrica Fiat di Termini Imerese
La questione della nozione di persona, nell’ambito degli studi
socio-antropologici, ha da molto tempo occupato un posto centrale nella
riflessione di molti studiosi. Uno dei primi autori a occuparsi del tema
fu Marcel Mauss nel saggio del 1938 Une catégorie de l’esprit humaine: la notion de persone celle de «moi» in
cui per la prima volta, attraverso la comparazione del concetto di
persona in diversi contesti storici ed etnologici, il sociologo francese
oggettivava la distinzione, fra individuo e persona. [continua a leggere]
venerdì 25 aprile 2014
La retorica della crisi, l'emergenza e la nuda vita
Studiosi
quali Hannah Arendt e Michel Foucault hanno dimostrato, secondo linee
interpretative diverse ma convergenti, che il fondamento dei
movimenti totalitari e capitalistici sia quello di esercitare un
pervasivo governo delle vite degli individui e delle comunità
attraverso le scelte politiche e, sopratutto, le imposizioni
economiche. In questo senso, la nozione di biopolitica di Foucault è
funzionale a identificare e circoscrivere quello stretto legame fra
individui, politica e liberismo. Tale nozione è ripresa in un
importante saggio di Giorgio Agamben Homo sacer. Il potere sovrano
e la nuda vita. Centrale nella
trattazione di Agamben è, oltre il riferimento costante alla
biopolitica foucaultiana, la nozione di sacerità, ripresa dal
diritto romano. Per il filosofo italiano, l'homo sacer «è
colui che è stato escluso dal mondo degli uomini e che, pur non
potendo essere sacrificato, è lecito uccidere senza commettere
omicidio»1.
L'homo sacer, nel sistema filosofico agambiano, rappresenta colui che
è identificato come stato di eccezione all'interno di una comunità
e che è necessario alla sovranità per fondare ed esercitare il suo
potere. L'homo sacer è colui che, essendo ai limiti della società
e rappresentando egli stesso l'emergenza, è pervaso dalla nuda vita:
una esistenza su cui la sovranità può tutto. L'esempio principale
riportato da Agamben nel suo saggio è quello degli ebrei, durante il
Terzo Reich, su cui la sovranità hitleriana si esercitò attraverso
il potere di definire gli ebrei come il nemico pubblico per
eccellenza, l'emergenza del momento da debellare e su cui il diritto
di vita o morte si esercitò non direttamente da Hitler, ma bensì da
tutti coloro che facevano a pieno diritto parte della razza ariana.
Quello
degli ebrei, però, rappresenta un caso limite ed eclatante. Gli
effetti della biopolitica e degli eterni stati di eccezione ed
emergenza sono molto meno visibili e tuttavia altrettanto violenti.
Negli
ultimi anni, infatti, tutti noi abbiamo assistito ad un vero e
proprio bombardamento retorico sulla crisi economica in atto e sulle
misure di emergenza che continuamente i vari Stati, soprattutto
europei, hanno dovuto varare. Fra le varie misure da adottare per
fare fronte all'emergenza economica, vi è stata, oltre l'aumento
inaudito della pressione fiscale, una continua insistenza sulla
necessità di flessibilizzare il lavoro, di rinunciare a qualche
diritto e a un po' di retribuzione per mantenere un impiego. In
questo senso, la Riforma Fornero e il Jobs Act proposto da Matteo
Renzi sono
soltanto gli ultimi esiti di una retorica violenta e pressante che
sta tentando, e forse ci è già riuscita, di fare diventare quelle
misure di emergenza una pratica che rientra nella normalità. In
questo contesto, la sacerità di cui parla Agamben si applica
perfettamente a quella comunità di persone fra i 18 e i 39 anni,
appartenenti alle classi medio-basse, che possono essere sacrificate
in nome di un rilancio economico che, forse si potrebbe cominciare a
sospettare, non dipende dalla flessibilità del mercato del lavoro,
ma dalla mancanza di una politica industriale e professionale in
questo Paese.
Sul giornale il
Manifesto
del 10 aprile 2014 Giorgio Airaudo apre il suo articolo elencando una
serie di vertenze iniziate in questi giorni: quella della Agrati di
Torino, della Micron e della Neslte di Perugia. Tutte aziende a
rischio chiusura e con una minaccia continua di delocalizzazione non
in Cina, Malesia o chissà in quale Paese dalle condizione lavorative
schiaviste, ma in Francia o Germania. Inoltre, in almeno due dei tre
casi a cui qui si fa riferimento, si tratta di aziende con bilanci in
attivo, floride e non attraversate da una crisi delle commesse.
Questi casi e molti altri, come sostiene Airaudo, ci dicono che il
problema non è la crisi economica in Italia, ma le condizioni in cui
le aziende lavorano e, soprattutto, la solitudine dei lavoratori
italiani ad affrontare quelle crisi.
Un
Paese piegato alle logiche neo-liberiste europee e mondiali, che
opera in una condizione di perenne emergenza facendo passare ogni
singola negazione di diritto come un atto dovuto da chissà quale
entità trascendente è un Paese che ha ceduto la sua sovranità a
banche e imprese, le quali non sono degli enti nati per il bene
comune, ma per la tutela e l'arricchimento di pochi. Il bene comune,
in un mondo ideale, dovrebbe essere tutelato dai Governi e,
soprattutto, dal governo attuale che si pretende per i giovani e di
sinistra.
In
questo quadro, ciò che è successo il
12
aprile 2014 a Roma: le manifestazione dei precari, dei senza casa e
degli attivisti a vario titolo; gli scontri con la polizia; la rabbia
furibonda e ceca non sono
altro che l'estremo tentativo da parte di questa generazione di
ragazzi, cresciuta sotto l'egida costante di
mille emergenze quotidiane (casa,
lavoro, grandi opere ecc.), di non essere definitivamente trattata
come nuda vita su cui tutto è possibile. Una generazione il cui
timore è quello di essere definita sacra dalla retorica politica
contemporanea così da potere essere sacrificata senza che nessuno
sia un assassino.
1Agamben
G., 1990, La comunità che viene, Bollati Boringhieri,
Torino, p.59.
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sabato 1 marzo 2014
Antropologia del lavoro nella Fiat di Termini Imerese
Sul nuovo numero della rivista online dell'Istituto Euro Arabo, Dialoghi Mediterranei, potete trovare alcune brevi note sulla storia, l'evoluzione e la chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Leggi l'articolo.
lunedì 10 febbraio 2014
Deindustrializzazione e mitopoiesi. Lo spazio della fabbrica dismessa
Abstract
La chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese ha rappresentato un evento tragico che ha coinvolto migliaia di persone. Tuttavia, tale evento ha creato le condizioni per cui diversi attori sociali (cittadini e istituzioni) hanno cominciato a operare un processo immaginario volto alla rimodulazione e alla risemantizzazione dello spazio della fabbrica dismessa. Attraverso un’attenta analisi etnografica dell’istallazione e della chiusura dello stabilimento, l’articolo tenta di ricostruire le basi di questo processo mitopoietico.
The closure of Fiat’s plant of Termini Imerese is a tragic event that involved thousands of people. However, this event created a situation in which different social agents (citizens and institutions) started an imaginary process aimed to re-modulate and give a new meaning to the space of the closed factory. Through a strong ethnographic analysis of the process of installation and closure of the plant, this article attempts to reconstruct the base of this mythopoeia.
La chiusura dello stabilimento Fiat di Termini Imerese ha rappresentato un evento tragico che ha coinvolto migliaia di persone. Tuttavia, tale evento ha creato le condizioni per cui diversi attori sociali (cittadini e istituzioni) hanno cominciato a operare un processo immaginario volto alla rimodulazione e alla risemantizzazione dello spazio della fabbrica dismessa. Attraverso un’attenta analisi etnografica dell’istallazione e della chiusura dello stabilimento, l’articolo tenta di ricostruire le basi di questo processo mitopoietico.
The closure of Fiat’s plant of Termini Imerese is a tragic event that involved thousands of people. However, this event created a situation in which different social agents (citizens and institutions) started an imaginary process aimed to re-modulate and give a new meaning to the space of the closed factory. Through a strong ethnographic analysis of the process of installation and closure of the plant, this article attempts to reconstruct the base of this mythopoeia.
deindustrializzazione | spazio | fiat | Termini Imerese | mitopoiesi
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