Studiosi
quali Hannah Arendt e Michel Foucault hanno dimostrato, secondo linee
interpretative diverse ma convergenti, che il fondamento dei
movimenti totalitari e capitalistici sia quello di esercitare un
pervasivo governo delle vite degli individui e delle comunità
attraverso le scelte politiche e, sopratutto, le imposizioni
economiche. In questo senso, la nozione di biopolitica di Foucault è
funzionale a identificare e circoscrivere quello stretto legame fra
individui, politica e liberismo. Tale nozione è ripresa in un
importante saggio di Giorgio Agamben Homo sacer. Il potere sovrano
e la nuda vita. Centrale nella
trattazione di Agamben è, oltre il riferimento costante alla
biopolitica foucaultiana, la nozione di sacerità, ripresa dal
diritto romano. Per il filosofo italiano, l'homo sacer «è
colui che è stato escluso dal mondo degli uomini e che, pur non
potendo essere sacrificato, è lecito uccidere senza commettere
omicidio»1.
L'homo sacer, nel sistema filosofico agambiano, rappresenta colui che
è identificato come stato di eccezione all'interno di una comunità
e che è necessario alla sovranità per fondare ed esercitare il suo
potere. L'homo sacer è colui che, essendo ai limiti della società
e rappresentando egli stesso l'emergenza, è pervaso dalla nuda vita:
una esistenza su cui la sovranità può tutto. L'esempio principale
riportato da Agamben nel suo saggio è quello degli ebrei, durante il
Terzo Reich, su cui la sovranità hitleriana si esercitò attraverso
il potere di definire gli ebrei come il nemico pubblico per
eccellenza, l'emergenza del momento da debellare e su cui il diritto
di vita o morte si esercitò non direttamente da Hitler, ma bensì da
tutti coloro che facevano a pieno diritto parte della razza ariana.
Quello
degli ebrei, però, rappresenta un caso limite ed eclatante. Gli
effetti della biopolitica e degli eterni stati di eccezione ed
emergenza sono molto meno visibili e tuttavia altrettanto violenti.
Negli
ultimi anni, infatti, tutti noi abbiamo assistito ad un vero e
proprio bombardamento retorico sulla crisi economica in atto e sulle
misure di emergenza che continuamente i vari Stati, soprattutto
europei, hanno dovuto varare. Fra le varie misure da adottare per
fare fronte all'emergenza economica, vi è stata, oltre l'aumento
inaudito della pressione fiscale, una continua insistenza sulla
necessità di flessibilizzare il lavoro, di rinunciare a qualche
diritto e a un po' di retribuzione per mantenere un impiego. In
questo senso, la Riforma Fornero e il Jobs Act proposto da Matteo
Renzi sono
soltanto gli ultimi esiti di una retorica violenta e pressante che
sta tentando, e forse ci è già riuscita, di fare diventare quelle
misure di emergenza una pratica che rientra nella normalità. In
questo contesto, la sacerità di cui parla Agamben si applica
perfettamente a quella comunità di persone fra i 18 e i 39 anni,
appartenenti alle classi medio-basse, che possono essere sacrificate
in nome di un rilancio economico che, forse si potrebbe cominciare a
sospettare, non dipende dalla flessibilità del mercato del lavoro,
ma dalla mancanza di una politica industriale e professionale in
questo Paese.
Sul giornale il
Manifesto
del 10 aprile 2014 Giorgio Airaudo apre il suo articolo elencando una
serie di vertenze iniziate in questi giorni: quella della Agrati di
Torino, della Micron e della Neslte di Perugia. Tutte aziende a
rischio chiusura e con una minaccia continua di delocalizzazione non
in Cina, Malesia o chissà in quale Paese dalle condizione lavorative
schiaviste, ma in Francia o Germania. Inoltre, in almeno due dei tre
casi a cui qui si fa riferimento, si tratta di aziende con bilanci in
attivo, floride e non attraversate da una crisi delle commesse.
Questi casi e molti altri, come sostiene Airaudo, ci dicono che il
problema non è la crisi economica in Italia, ma le condizioni in cui
le aziende lavorano e, soprattutto, la solitudine dei lavoratori
italiani ad affrontare quelle crisi.
Un
Paese piegato alle logiche neo-liberiste europee e mondiali, che
opera in una condizione di perenne emergenza facendo passare ogni
singola negazione di diritto come un atto dovuto da chissà quale
entità trascendente è un Paese che ha ceduto la sua sovranità a
banche e imprese, le quali non sono degli enti nati per il bene
comune, ma per la tutela e l'arricchimento di pochi. Il bene comune,
in un mondo ideale, dovrebbe essere tutelato dai Governi e,
soprattutto, dal governo attuale che si pretende per i giovani e di
sinistra.
In
questo quadro, ciò che è successo il
12
aprile 2014 a Roma: le manifestazione dei precari, dei senza casa e
degli attivisti a vario titolo; gli scontri con la polizia; la rabbia
furibonda e ceca non sono
altro che l'estremo tentativo da parte di questa generazione di
ragazzi, cresciuta sotto l'egida costante di
mille emergenze quotidiane (casa,
lavoro, grandi opere ecc.), di non essere definitivamente trattata
come nuda vita su cui tutto è possibile. Una generazione il cui
timore è quello di essere definita sacra dalla retorica politica
contemporanea così da potere essere sacrificata senza che nessuno
sia un assassino.
1Agamben
G., 1990, La comunità che viene, Bollati Boringhieri,
Torino, p.59.