Racconti dal mondo precario

sabato 10 agosto 2013

Corpi in fabbrica. La femminilizzazione del lavoro e la cancellazione dell'identità sessuale (II parte)

Nel post Corpi in fabbrica. Assoggettamento e resistenza (I parte) ho esposto la mia prospettiva analitica riguardo i modi in cui il corpo entra in fabbrica e le dinamiche che scaturiscono da questo processo di incontro/scontro. In linea con quello scritto, presento qui il caso di una informatrice costretta, per lavorare in fabbrica e "fare carriera", ad attenuare, e in alcuni casi a cercare di cancellare, la sua identità di genere anche se all'interno di un ampio processo di femminilizzazione che ha investito il mondo del lavoro contemporaneo. 

Durante la mia frequentazione del campo e degli informatori non avevo mai né conosciuto, né visto fra i lavoratori G. S. Un giorno G. I. mi ha parlato di questa ragazza coraggiosa e capace che da semplice operaia è riuscita a diventare caposquadra, pur non riuscendo ad ottenere la qualifica ufficialmente e che, nel periodo iniziale della chiusura dello stabilimento, era stata spostata nella fabbrica di Pomigliano D’Arco, per insegnare agli operai campani ad ottenere standard qualitativi più alti. A quel punto, incuriosito, ho chiesto a G. I. di mettermi in contatto con questa ragazza e dopo un paio di giorni, avvertita preventivamente, l’ho chiamata al telefono per fissare un incontro nella sua casa di XXX, dove vive con il marito. Quando mi sono recato a trovarla, mi si è presentata una ragazza di media altezza, magra e asciutta in tuta da ginnastica con una lunga coda di capelli neri tirati indietro, una grande vitalità negli occhi e una voglia ancora più grande di raccontarmi la sua storia. Mi ha fatto accomodare nel salotto di casa sua, dove si trovavano un paio di borsoni del marito, militare in partenza per una missione in Afganistan.
Dal momento in cui ci siamo accomodati G. S., senza darmi il tempo di formulare nessuna domanda, comincia a parlare della Fiat di Termini Imerese. Per lei, assunta poco più che adolescente, il suo percorso lavorativo e di formazione professionale coincide anche con una dura fase di crescita e formazione individuale. La sua carriera, tutta in ascesa fino alla chiusura dello stabilimento, rientra all’interno di quel processo di femminilizzazione del lavoro che si è affermato, in anni recenti, al livello internazionale1. Tale processo, per come lo definiscono, fra gli altri, Annalisa Murgia e Emiliana Armano, consiste:

[Nell’] aver incorporato «le doti, tradizionalmente femminili, della duttilità, del multitasking, dell’obbedienza, del lavoro gratuito, dell’ascolto e della propensione alla cura». Quella che è stata definita “femminilizzazione del lavoro” non è stata, infatti, sinonimo di maggior equilibrio di genere nel mondo del lavoro, ma si è tradotta piuttosto in una generalizzazione di precarietà e sfruttamento, che da sempre caratterizzano i lavori delle donne. E, contemporaneamente, hanno teso a diventare dei luoghi economici tutti gli spazi di vita degli individui, con lo sgretolarsi delle barriere tra i luoghi del lavoro e di vita privata, e tra tempi di produzione e di riproduzione (Murgia, Armano 2012: 12).

Tale dinamica, nella vicenda di G. S., è evidente dalla varietà di mansioni che la giovane donna ha svolto per lunghi anni all’interno dello stabilimento e, a conferma dello stato generale «di precarietà e sfruttamento, che da sempre caratterizzano i lavori delle donne», dal fatto che, pur svolgendo la mansione di caposquadra nella pratica, l’informatrice non ha mai avuto un formale riconoscimento da parte dell’azienda per le mansioni da lei svolte. Tale situazione, oltre che arrecarle un grave danno economico, nella fase attuale instilla nel soggetto un senso di fallimento e di delusione, che a tratti sfocia nel risentimento nei confronti della fabbrica.
Il caso di G. S. è emblematico anche per le varie implicazioni che coinvolgono il corpo del lavoratore e, allo stesso tempo, la sua appartenenza di genere.
G.: [Lo stabilimento] è un luogo dove tu riesci ad avere realmente a che fare con tutti i ceti e tutti i livelli culturali, quindi è un ambiente per me meraviglioso, perché: ti dà tantissimo spirito di adattamento, perché tu o ti adatti o se no rimani esiliato per tutta la vita; ti dà il modo di confrontarti con tutti; essendo donna, ti dà molta forza devi acquisire tantissima fiducia in te stessa, perché lì dentro la donna ancora veniva vista, e ti parlo di quattordici anni fa, veniva vista ancora come: “Tu sei femmina e devi stare a casa; tu non sei in grado di potere montare una macchina; tu non sei in grado di potere alzare un peso; tu non sei in grado di dare ordini a me che sono un uomo.” […] Non è facile per una donna, a Termini Imerese perché negli altri stabilimenti non è così, ma a Termini Imerese non è facile per una donna andare avanti.
T.: E tu come ci sei riuscita?
G.: Io ci sono riuscita, ma io ho un carattere non molto femminile, nel senso che se tu a me mi dici che io una cosa non la riesco a fare, ma io, guarda, ma anche se è l'ultima cosa che faccio nella mia vita, ma io la devo fare. […] Ti posso dire che malanni e danni addosso a me stessa me ne sono fatti in quantità illimitata, nel senso che ho avuto punti, mi sono venuti i tunnel carpali, mi sono rotta il ginocchio, mi sono lussata la rotula. Guarda, io quando sono stata ai motori... il reparto motori forse è quello che mi ha fatto crescere veramente...
T.: Quindi c'erano anche dei problemi fisici?
G.: Sì, che alla fine ci sono, non è che non ci sono. Perché se devi assemblare un motore...
La fabbrica è il luogo in cui l’individualità di G. S. si incontra/scontra con il mondo. In questo processo di incontro/scontro ciò che emerge lampante è la necessità di mettere da parte l’identità di genere di G. S. affinché quel mondo e chi lo abita la possano rispettare come donna e come superiore. La fabbrica è, come già accennato, il luogo della crescita e dell’esperienza ed è significativo come la stessa informatrice indichi implicitamente come tali processi passino attraverso il suo corpo. È, infatti, la linea di montaggio dei motori che, come la stessa G. S. rileva, le permette di crescere e di fare esperienza, ma è, allo stesso tempo, il luogo in cui il suo corpo è sottoposto ad uno sforzo che va oltre i suoi limiti e che subisce spesso degli infortuni. Nel primo caso la costruzione di una chiave speciale, che modifica il suo corpo permettendole di aprire ancora di più le braccia e di esercitare la forza necessaria ad assemblare il motore, rende il soggetto abile al lavoro; nel secondo caso, tali accorgimenti e modifiche corporali non mettono la lavoratrice al riparo da infortuni e da conseguenze fisiche anche gravi.
Il caso appena riportato permette di analizzare il coinvolgimento del corpo all’interno del processo produttivo in tutta la sua potenza e centralità, raggiungendo, in alcuni momenti, picchi di tragicità. Innanzitutto l’ingresso in fabbrica costituisce per G. S. una presa di coscienza e un auto-riconoscimento del suo essere donna e, in linea di massima, diversa dalla maggior parte dei suoi colleghi. In questo processo di identificazione e di crescita l’informatrice è stata costretta a mettere da parte alcuni tratti che vengono comunemente riconosciuti come “femminili” (debolezza fisica, emotività, dolcezza) con dei tratti che altrettanto comunemente vengono identificati come “maschili” (forza fisica e morale, durezza, inflessibilità di fronte alle avversità). Tuttavia, questa rinuncia ad una parte della femminilità è operata all’interno di un più generale processo di femminilizzazione del mondo del lavoro, che ha fatto suoi alcuni caratteri dei lavori e delle capacità attribuite principalmente alle donne, al fine di rendere la condizione dei lavoratori più flessibile e, in alcuni casi, più precaria. Questa apparente contraddizione è un tratto che rientra perfettamente nei processi che Michel Foucault definisce, di assoggettamento dei corpi. In questo assoggettamento dei corpi ciò che si richiede al lavoratore è di essere produttivo e, in questa ottica, i tratti o gli strumenti che vengono selezionati per raggiungere tale produttività sono di diversa natura, cangianti e mescolati fra loro. In altre parole ciò che entra in gioco nel processo produttivo industriale sono le dinamiche di potere dal carattere governamentale, caratteristiche del capitalismo e, ancora più accentuatamente, nel neo-capitalismo2.
Infine, G. S. presenta un caso estremo in cui il processo produttivo si palesa in tutta la sua pre-potenza plasmatrice della corporeità che si spinge oltre i limiti delle possibilità fisiche del lavoratore stesso fornendo mezzi sui generis (la speciale chiave costruita dal capo di G. S.), che dovrebbero trasformare il corpo del lavoratore. Tuttavia, quando questi limiti si esercitano oltre un certo limite le rotture, i danni e le ripercussioni al livello fisico, come dimostra il caso presentato, sono inevitabili.
Quello di G. S. è un caso limite in cui il processo di assoggettamento dei corpi si esercita in maniera eccessiva. Tuttavia, come ha mostrato James C. Scott (2006), gli uomini attivano generalmente dei meccanismi di resistenza e di eversione al/dal potere, che gli permettono di rimodulare le istanze esterne e attuare delle pratiche volte alla sopravvivenza e al miglioramento delle proprie condizioni di vita. Un esempio di questi modi di eversione e resistenza può essere il caso degli operai tatuati di cui ho già parlato nel post precedente o un gruppo di operai di Termini Imerese che, disertando la mensa aziendale e cercando di affermare la propria dignità e la propria identità, preparavo il cibo all'interno della fabbrica praticando un atto, discreto e silenzioso, di contestazione nei confronti dell'azienda.

Riferimenti bibliografici
Arienzo A., 2007, Governo, governamentalità, governance. Riflessioni sul neo-liberalismo contemporaneo, in Vinale A. (a cura di), Biopolitica e democrtazia, Mimesis, Milano, pp. 251-277.
Foucault M., 2005, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano (ed. or. 2004, Naissance de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979, Seuil-Gallimard, Paris).
Freeman C., 2011, Neoliberalism. Emboding and affecting neoliberalism, in Mascia-Lees F. E. (a cura di), A companion to the anthropology of the body and ambodiment, Blackwell Publishing, Chichester, pp. 353-369.
Murgia A., Armano E. (a cura di), 2012, Mappe della precarietà. Spazi, rappresentazioni, esperienze e critica delle politiche del lavoro che cambia, Vol. I, Emil di Odoya, Bologna.
Scott J. C., 2006, Il dominio e l'arte della resistenza. I «verbali segreti» dietro la storia ufficiale, Elèuthera, Milano (ed. or. 1990, Domination and the arts of resistance. Hidden transcripts, Yale University Press, New Haven).
1 Per maggiori approfondimenti sulla questione della “femminilizzazione del lavoro” ancora poco analizzato dagli studiosi di scienze sociale cfr. Freeman 2011: 353-369.


2Per maggiori approfondimenti sulla nozione di governamentalità cfr. Foucault 2005; De Martino 2009/2010-2011/2012; Arienzo 2007: 251-277.

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