Nel post Corpi in fabbrica. Assoggettamento e resistenza (I parte) ho esposto la mia prospettiva analitica riguardo i modi in cui il corpo entra in fabbrica e le dinamiche che scaturiscono da questo processo di incontro/scontro. In linea con quello scritto, presento qui il caso di una informatrice costretta, per lavorare in fabbrica e "fare carriera", ad attenuare, e in alcuni casi a cercare di cancellare, la sua identità di genere anche se all'interno di un ampio processo di femminilizzazione che ha investito il mondo del lavoro contemporaneo.
Durante
la mia frequentazione del campo e degli informatori non avevo mai né
conosciuto, né visto fra i lavoratori G. S. Un giorno G. I. mi ha
parlato di questa ragazza coraggiosa e capace che da semplice operaia
è riuscita a diventare caposquadra, pur non riuscendo ad ottenere la
qualifica ufficialmente e che, nel periodo iniziale della chiusura
dello stabilimento, era stata spostata nella fabbrica di Pomigliano
D’Arco, per insegnare agli operai campani ad ottenere standard
qualitativi più alti. A quel punto, incuriosito, ho chiesto a G. I.
di mettermi in contatto con questa ragazza e dopo un paio di giorni,
avvertita preventivamente, l’ho chiamata al telefono per fissare un
incontro nella sua casa di XXX, dove vive con il marito. Quando mi
sono recato a trovarla, mi si è presentata una ragazza di media
altezza, magra e asciutta in tuta da ginnastica con una lunga coda di
capelli neri tirati indietro, una grande vitalità negli occhi e una
voglia ancora più grande di raccontarmi la sua storia. Mi ha fatto
accomodare nel salotto di casa sua, dove si trovavano un paio di
borsoni del marito, militare in partenza per una missione in
Afganistan.
Dal
momento in cui ci siamo accomodati G. S., senza darmi il tempo di
formulare nessuna domanda, comincia a parlare della Fiat di Termini
Imerese. Per lei, assunta poco più che adolescente,
il suo percorso lavorativo e di formazione professionale coincide
anche con una dura fase di crescita e formazione individuale. La sua
carriera, tutta in ascesa fino alla chiusura dello stabilimento,
rientra all’interno di quel processo di femminilizzazione del
lavoro che si è affermato, in anni recenti, al livello
internazionale1.
Tale processo, per come lo definiscono, fra gli altri, Annalisa
Murgia e Emiliana Armano, consiste:
[Nell’]
aver incorporato «le doti, tradizionalmente femminili, della
duttilità, del multitasking,
dell’obbedienza, del lavoro gratuito, dell’ascolto e della
propensione alla cura». Quella che è stata definita
“femminilizzazione del lavoro” non è stata, infatti, sinonimo di
maggior equilibrio di genere nel mondo del lavoro, ma si è tradotta
piuttosto in una generalizzazione di precarietà e sfruttamento, che
da sempre caratterizzano i lavori delle donne. E, contemporaneamente,
hanno teso a diventare dei luoghi economici tutti gli spazi di vita
degli individui, con lo sgretolarsi delle barriere tra i luoghi del
lavoro e di vita privata, e tra tempi di produzione e di riproduzione
(Murgia, Armano 2012: 12).
Tale dinamica, nella
vicenda di G. S., è evidente dalla varietà di mansioni che la
giovane donna ha svolto per lunghi anni all’interno dello
stabilimento e, a conferma dello stato generale «di precarietà e
sfruttamento, che da sempre caratterizzano i lavori delle donne»,
dal fatto che, pur svolgendo la mansione di caposquadra nella
pratica, l’informatrice non ha mai avuto un formale riconoscimento
da parte dell’azienda per le mansioni da lei svolte. Tale
situazione, oltre che arrecarle un grave danno economico, nella fase
attuale instilla nel soggetto un senso di fallimento e di delusione,
che a tratti sfocia nel risentimento nei confronti della fabbrica.
Il caso di G. S. è
emblematico anche per le varie implicazioni che coinvolgono il corpo
del lavoratore e, allo stesso tempo, la sua appartenenza di genere.
G.:
[Lo stabilimento] è un luogo dove tu riesci ad avere realmente a che
fare con tutti i ceti e tutti i livelli culturali, quindi è un
ambiente per me meraviglioso, perché: ti dà tantissimo spirito di
adattamento, perché tu o ti adatti o se no rimani esiliato per tutta
la vita; ti dà il modo di confrontarti con tutti; essendo donna, ti
dà molta forza devi acquisire tantissima fiducia in te stessa,
perché lì dentro la donna ancora veniva vista, e ti parlo di
quattordici anni fa, veniva vista ancora come: “Tu sei femmina e
devi stare a casa; tu non sei in grado di potere montare una
macchina; tu non sei in grado di potere alzare un peso; tu non sei in
grado di dare ordini a me che sono un uomo.” […] Non è facile
per una donna, a Termini Imerese perché negli altri stabilimenti non
è così, ma a Termini Imerese non è facile per una donna andare
avanti.
T.:
E tu come ci sei riuscita?
G.:
Io ci sono riuscita, ma io ho un carattere non molto femminile, nel
senso che se tu a me mi dici che io una cosa non la riesco a fare, ma
io, guarda, ma anche se è l'ultima cosa che faccio nella mia vita,
ma io la devo fare. […] Ti posso dire che malanni e danni addosso
a me stessa me ne sono fatti in quantità illimitata, nel senso che
ho avuto punti, mi sono venuti i tunnel carpali, mi sono rotta il
ginocchio, mi sono lussata la rotula. Guarda, io quando sono stata ai
motori... il reparto motori forse è quello che mi ha fatto crescere
veramente...
T.:
Quindi c'erano anche dei problemi fisici?
G.:
Sì, che alla fine ci sono, non è che non ci sono. Perché se devi
assemblare un motore...
La fabbrica è il luogo
in cui l’individualità di G. S. si incontra/scontra con il mondo.
In questo processo di incontro/scontro ciò che emerge lampante è la
necessità di mettere da parte l’identità di genere di G. S.
affinché quel mondo e chi lo abita la possano rispettare come donna
e come superiore. La fabbrica è, come già accennato, il luogo della
crescita e dell’esperienza ed è significativo come la stessa
informatrice indichi implicitamente come tali processi passino
attraverso il suo corpo. È, infatti, la linea di montaggio dei
motori che, come la stessa G. S. rileva, le permette di crescere e di
fare esperienza, ma è, allo stesso tempo, il luogo in cui il suo
corpo è sottoposto ad uno sforzo che va oltre i suoi limiti e che
subisce spesso degli infortuni. Nel primo caso la costruzione di una
chiave speciale, che modifica il suo corpo permettendole di aprire
ancora di più le braccia e di esercitare la forza necessaria ad
assemblare il motore, rende il soggetto abile al lavoro; nel secondo
caso, tali accorgimenti e modifiche corporali non mettono la
lavoratrice al riparo da infortuni e da conseguenze fisiche anche
gravi.
Il caso appena riportato
permette di analizzare il coinvolgimento del corpo all’interno del
processo produttivo in tutta la sua potenza e centralità,
raggiungendo, in alcuni momenti, picchi di tragicità. Innanzitutto
l’ingresso in fabbrica costituisce per G. S. una presa di coscienza
e un auto-riconoscimento del suo essere donna e, in linea di massima,
diversa dalla maggior parte dei suoi colleghi. In questo processo di
identificazione e di crescita l’informatrice è stata costretta a
mettere da parte alcuni tratti che vengono comunemente riconosciuti
come “femminili” (debolezza fisica, emotività, dolcezza) con dei
tratti che altrettanto comunemente vengono identificati come
“maschili” (forza fisica e morale, durezza, inflessibilità di
fronte alle avversità). Tuttavia, questa rinuncia ad una parte della
femminilità è operata all’interno di un più generale processo di
femminilizzazione del mondo del lavoro, che ha fatto suoi alcuni
caratteri dei lavori e delle capacità attribuite principalmente alle
donne, al fine di rendere la condizione dei lavoratori più
flessibile e, in alcuni casi, più precaria. Questa apparente
contraddizione è un tratto che rientra perfettamente nei processi
che Michel Foucault definisce, di assoggettamento dei corpi. In
questo assoggettamento dei corpi ciò che si richiede al lavoratore è
di essere produttivo e, in questa ottica, i tratti o gli strumenti
che vengono selezionati per raggiungere tale produttività sono di
diversa natura, cangianti e mescolati fra loro. In altre parole ciò
che entra in gioco nel processo produttivo industriale sono le
dinamiche di potere dal carattere governamentale, caratteristiche
del capitalismo e, ancora più accentuatamente, nel neo-capitalismo2.
Infine, G. S. presenta un
caso estremo in cui il processo produttivo si palesa in tutta la sua
pre-potenza plasmatrice della corporeità che si spinge oltre i
limiti delle possibilità fisiche del lavoratore stesso fornendo
mezzi sui generis (la speciale chiave costruita dal capo di G.
S.), che dovrebbero trasformare il corpo del lavoratore. Tuttavia,
quando questi limiti si esercitano oltre un certo limite le rotture,
i danni e le ripercussioni al livello fisico, come dimostra il caso
presentato, sono inevitabili.
Quello di G. S. è un
caso limite in cui il processo di assoggettamento dei corpi si
esercita in maniera eccessiva. Tuttavia, come ha mostrato James C.
Scott (2006), gli uomini attivano generalmente dei meccanismi di
resistenza e di eversione al/dal potere, che gli
permettono di rimodulare le istanze esterne e attuare delle pratiche
volte alla sopravvivenza e al miglioramento delle proprie condizioni
di vita. Un esempio di questi modi di eversione e resistenza può
essere il caso degli operai tatuati di cui ho già parlato nel post
precedente o un gruppo di operai di Termini Imerese che, disertando
la mensa aziendale e cercando di affermare la propria dignità e la
propria identità, preparavo il cibo all'interno della fabbrica praticando un atto, discreto e silenzioso, di contestazione nei confronti
dell'azienda.
Riferimenti
bibliografici
Arienzo
A., 2007, Governo,
governamentalità, governance. Riflessioni sul neo-liberalismo
contemporaneo,
in Vinale A. (a cura di), Biopolitica
e democrtazia,
Mimesis, Milano, pp. 251-277.
Foucault
M., 2005, Nascita
della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979),
Feltrinelli, Milano (ed. or. 2004, Naissance
de la biopolitique. Cours au Collège de France 1978-1979,
Seuil-Gallimard, Paris).
Freeman
C., 2011, Neoliberalism.
Emboding and affecting neoliberalism,
in Mascia-Lees F. E. (a cura di), A
companion to the anthropology of the body and ambodiment,
Blackwell Publishing, Chichester, pp. 353-369.
Murgia
A., Armano E. (a cura di), 2012, Mappe
della precarietà. Spazi, rappresentazioni, esperienze e critica
delle politiche del lavoro che cambia,
Vol. I, Emil di Odoya, Bologna.
Scott
J. C., 2006, Il
dominio e l'arte della resistenza. I «verbali segreti» dietro la
storia ufficiale,
Elèuthera, Milano (ed. or. 1990, Domination
and the arts of resistance. Hidden transcripts,
Yale University Press, New Haven).
1
Per maggiori approfondimenti sulla questione della
“femminilizzazione del lavoro” ancora poco analizzato dagli
studiosi di scienze sociale cfr. Freeman 2011: 353-369.
2Per
maggiori approfondimenti sulla nozione di governamentalità cfr.
Foucault 2005; De Martino 2009/2010-2011/2012; Arienzo 2007:
251-277.
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