In una domenica mattina del mese di maggio percorro in
automobile il viale antistante lo stabilimento di Termini Imerese. Mi godo il
paesaggio del mare, calmo e placido, accarezzare dolcemente la terra mentre Michele
guida la sua Punto. È un operaio della Lear, l’azienda che, in uno stabilimento
di circa settanta dipendenti attiguo alla Fiat, produce e confeziona i sedili
delle automobili prodotte a Termini Imerese. Ha quarantadue anni e attualmente
è fra gli operai in cassa integrazione che nell’ottobre del 2013 verranno
licenziati dalla sua azienda in conseguenza della chiusura della Fiat. Conosco Michele
da circa dieci anni poiché insieme abbiamo lavorato in un ristorante di
Buonfornello, la contrada marinara che sorge fra Termini Imerese e Campofelice
di Roccella. Michele ha sempre accompagnato la sua attività di operaio a quella
di cameriere. Dal 1987, anno in cui è assunto dalla Lear, ha integrato la sua
paga di operaio con quella di cameriere, svolgendo quest’ultima attività sempre
e comunque in nero. Nella fase attuale della sua vita lavorativa, Michele ha
intensificato la sua attività legata alla ristorazione continuando ad
esercitarla in nero per evitare la sospensione della cassa integrazione, che,
tuttavia, non percepisce da circa quattro mesi a causa della mancanza di
liquidità della sua azienda, incapace quest’ultima di anticipare il costo di
questo ammortizzatore sociale.
Anche in questa assolata domenica mattina, con il mare
piatto al fianco e il sole in faccia, io e Michele stiamo percorrendo la strada
che porta da Termini Imerese a Buonfornello per recarci al ristorante dove
affronteremo le nostre 18 ore di lavoro[1]. Nei
pressi della strada ferrata Palermo-Messina, Michele accosta l’auto, ingrana la
marcia indietro e ritorna sui nostri passi di una cinquantina di metri. Gli
chiedo cosa sta succedendo e il mio collega risponde lapidario: “C’è Francesco”.
Mi giro indietro e vedo quest’ultimo, uno dei leader sindacali della vertenza
Fiat, con un paio di scarpe impolverate e sporche di terra, un paio di jeans e
una camicia vecchi, luridi e rattoppati qua e là, armeggiare con un bidoncino
di benzina intorno ad una vecchia motozappa. Vedendolo mi ricordo delle volte
in cui abbiamo parlato del suo passato prima dell’ingresso in Fiat, delle sue
metafore tratte dal mondo contadino per illustrarmi le varie fasi della vertenza
e ho la netta sensazione che l’operaio, il sindacalista attento, competente,
combattivo e razionale non ha mai abbandonato ciò che era e, forse nell’attuale
fase di dismissione dello stabilimento, con la pressione che su questi
portavoce dei lavoratori esercitano le migliaia di dipendenti e con lo
sgretolarsi del tessuto economico e sociale di Termini Imerese e di tutto il
comprensorio, Francesco ritornando, anche solo saltuariamente al suo primo
lavoro, recuperi un contatto con il passato, con la sua identità che i
lavoratori più giovani di lui e senza nessuna qualifica professionale non
riescono a costruire.
Lo chiamiamo da lontano e ci avviciniamo. Ci chiede
come mai ci troviamo da quelle parti e gli spieghiamo che, per sbarcare il
lunario, siamo costretti a fare i camerieri nei fine settimana. A questo punto
un’ombra di tristezza attraversa il viso di Francesco e intuisco che è come se,
in qualche modo, la presenza di Michele, gli facesse sentire addosso la
responsabilità della vertenza, della sorte e del benessere di alcune centinaia
di persone e cerco di cambiare discorso dicendogli che non sapevo che quel
terreno, che costeggio da dodici anni a questa parte, fosse suo. Mi risponde
che, prima di entrare in Fiat, nel 1979, quella era la sua unica fonte di
reddito. Coltivava ortaggi, verdura e produceva olio che venivano poi venduti
nel mercato ortofrutticolo di Termini Imerese. L’attività contadina è diventata
secondaria con l’assunzione in Fiat e con l’insorgere delle prime incombenze
sindacali. Per un certo periodo di tempo ha continuato a coltivare la terra, ma
sempre in quantità minore e con un numero di prodotti ridotto. Tuttavia,
rinunciare ad una entrata economica, seppure esigua, era difficile e allora,
per un certo numero di anni, ha invertito il flusso commerciale: piuttosto che
vendere i suoi prodotti al mercato ortofrutticolo locale, ha cominciato a
comprarli da questo e a rivenderli all’angolo della strada ai villeggianti che,
nei fine settimana d’estate, transitavano per le vicine località balneari,
spacciando quei prodotti come coltivati da se stesso. Poi gli impegni sindacali
sono diventati sempre più gravosi, ha aperto un CAF e, di conseguenza, per
alcuni anni ha affittato il suo terreno ad un albanese. Solo da qualche mese,
in concomitanza della chiusura dello stabilimento Fiat, ha ricominciato a
coltivare la sua terra.
Michele, tuttavia, comincia a diventare impaziente e,
a un certo punto, quando Francesco fa un veloce cenno alla chiusura della
fabbrica, ne approfitta per chiedere al sindacalista: “Francé, notizie n’aviemu?”[2]. Francesco,
con gli occhi a terra, risponde di no che “i
notizi su sempri chiddi!”[3]
ovvero: non ci sono notizie. Poi Francesco, girandosi verso il suo terreno, in
direzione dello stabilimento e della città di Termini Imerese, comincia a
parlare del periodo in cui, fino agli inizi degli anni Settanta, la Fiat, la
Magneti Marelli, la Lear, la Bienne Sud e tutte le altre fabbriche più o meno
grandi non esistevano. L’unica parvenza di industrializzazione moderna nel
territorio era la centrale Enel, istallata all’inizio degli anni Sessanta. La
pianura, attualmente occupata dalla zona industriale, era allora un’unica
distesa di carciofi e ulivi. Quello sguardo di Francesco su quella piana è come
un grande punto interrogativo su ciò che sarebbe potuto essere, su cosa sarebbe
successo se la Fiat non fosse mai arrivata.
Nel frattempo Michele tace. Aspetta un cenno una
parola, ma ormai entrambi gli uomini, l’uno di fronte all’altro, sono persi nei
propri interrogativi, nei rimpianti e nelle attese: due uomini frantumati e
accomunati dalla paura del futuro, dall’incertezza strisciante e profonda che
ormai si è impossessata di loro come di tutti i lavoratori di questo paese sempre
invischiato in una imperitura crisi d’identità e alle prese con ataviche
emergenze sempre uguali e sempre nuove. Sullo sfondo la piana, le fabbriche e
la città, il monte San Calogero e questo mare troppo calmo, troppo viscido.
[1] Nell’ambito della ristorazione locale c’è una
netta distinzione, simbolica e sostanziale, fra chi lavora come cameriere fisso
(u fissu), come cameriere extra ma
sempre nel medesimo ristorante (estra-fissu),
come nel caso mio e di Michele, e chi, invece, come cameriere extra, per così
dire, itinerante, che cioè lavora in diversi locali della zona quando e dove
c’è più richiesta (estra).
Generalmente gli estra-fissu e gli estra sono persone che svolgono altre
attività, come operai, impiegati e studenti, e che nel tempo libero si
guadagnano da vivere o integrano i loro stipendi prestando servizio nei locali
della zona. Questi lavoratori vengono pagati di più rispetto ai fissi (rispettivamente circa 60/65 euro
per 8 ore di lavoro a fronte dei 30/40 euro per una giornata lavorativa) e
tendono a svolgere la loro attività in nero, spesso per una propria richiesta
legata alla pressione fiscale. Generalmente gli estra e gli estra-fissi
tendono a concentrare molte ore di lavoro nei pochi giorni liberi che hanno a
loro disposizione per tesaurizzare quanto più possibile il loro tempo. È usuale
che essi tendano spesso a fare le doppie,
cioè a coprire il pranzo e la cena del ristorante con le relative complesse
preparazioni che iniziano alle 9,00 del mattino fino alla chiusura del locale,
che non avviene mai prima dell’una del mattino e comunque spesso si protrae
fino a notte fonda. In questi casi si dà vita ad una vera e propria estenuante
resistenza fisica, dal momento che gli estra-fissi
e gli estra lavorano senza
interruzione di sorta per tutta la durata della loro giornata, saltando spesso
sia il pranzo che la cena. Naturalmente le doppie
sono ambite da questa categoria di camerieri perché vengono pagate il
doppio (circa 120/130 euro) rispetto ad un normale servizio. A questa paga
vanno aggiunte le mance dei clienti che fanno in modo che in 16-18 ore di
lavoro il salario degli estra e degli
estra-fissi arrivi a circa 140-150
euro.
[2] Francesco notizie [della
vertenza] ne abbiamo?
[3] “Le notizie sono sempre quelle!”
I due uomini si riferiscono, in questo caso, a notizie che dovrebbero provenire
da almeno due fronti. Il primo riguarda il processo di re-industrializzazione,
in ritardo di un anno, che l’azienda DR Motor dovrebbe attuare, ma a cui manca
la liquidità economica necessaria per coprire gli investimenti. Il secondo
fronte riguarda l’ambito politico-istituzionale con la presa in carico da parte
dell’assessore regionale Linda Vancheri, per conto del Presidente Regionale
Rosario Crocetta, del compito di ricercare altri investitori capaci di
installare attività produttive nell’area industriale di Termini Imerese.
Nessun commento:
Posta un commento