Racconti dal mondo precario

sabato 5 ottobre 2013

Storie di fabbrica. Michele e Francesco: due uomini in mare

In una domenica mattina del mese di maggio percorro in automobile il viale antistante lo stabilimento di Termini Imerese. Mi godo il paesaggio del mare, calmo e placido, accarezzare dolcemente la terra mentre Michele guida la sua Punto. È un operaio della Lear, l’azienda che, in uno stabilimento di circa settanta dipendenti attiguo alla Fiat, produce e confeziona i sedili delle automobili prodotte a Termini Imerese. Ha quarantadue anni e attualmente è fra gli operai in cassa integrazione che nell’ottobre del 2013 verranno licenziati dalla sua azienda in conseguenza della chiusura della Fiat. Conosco Michele da circa dieci anni poiché insieme abbiamo lavorato in un ristorante di Buonfornello, la contrada marinara che sorge fra Termini Imerese e Campofelice di Roccella. Michele ha sempre accompagnato la sua attività di operaio a quella di cameriere. Dal 1987, anno in cui è assunto dalla Lear, ha integrato la sua paga di operaio con quella di cameriere, svolgendo quest’ultima attività sempre e comunque in nero. Nella fase attuale della sua vita lavorativa, Michele ha intensificato la sua attività legata alla ristorazione continuando ad esercitarla in nero per evitare la sospensione della cassa integrazione, che, tuttavia, non percepisce da circa quattro mesi a causa della mancanza di liquidità della sua azienda, incapace quest’ultima di anticipare il costo di questo ammortizzatore sociale.
Anche in questa assolata domenica mattina, con il mare piatto al fianco e il sole in faccia, io e Michele stiamo percorrendo la strada che porta da Termini Imerese a Buonfornello per recarci al ristorante dove affronteremo le nostre 18 ore di lavoro[1]. Nei pressi della strada ferrata Palermo-Messina, Michele accosta l’auto, ingrana la marcia indietro e ritorna sui nostri passi di una cinquantina di metri. Gli chiedo cosa sta succedendo e il mio collega risponde lapidario: “C’è Francesco”. Mi giro indietro e vedo quest’ultimo, uno dei leader sindacali della vertenza Fiat, con un paio di scarpe impolverate e sporche di terra, un paio di jeans e una camicia vecchi, luridi e rattoppati qua e là, armeggiare con un bidoncino di benzina intorno ad una vecchia motozappa. Vedendolo mi ricordo delle volte in cui abbiamo parlato del suo passato prima dell’ingresso in Fiat, delle sue metafore tratte dal mondo contadino per illustrarmi le varie fasi della vertenza e ho la netta sensazione che l’operaio, il sindacalista attento, competente, combattivo e razionale non ha mai abbandonato ciò che era e, forse nell’attuale fase di dismissione dello stabilimento, con la pressione che su questi portavoce dei lavoratori esercitano le migliaia di dipendenti e con lo sgretolarsi del tessuto economico e sociale di Termini Imerese e di tutto il comprensorio, Francesco ritornando, anche solo saltuariamente al suo primo lavoro, recuperi un contatto con il passato, con la sua identità che i lavoratori più giovani di lui e senza nessuna qualifica professionale non riescono a costruire.
Lo chiamiamo da lontano e ci avviciniamo. Ci chiede come mai ci troviamo da quelle parti e gli spieghiamo che, per sbarcare il lunario, siamo costretti a fare i camerieri nei fine settimana. A questo punto un’ombra di tristezza attraversa il viso di Francesco e intuisco che è come se, in qualche modo, la presenza di Michele, gli facesse sentire addosso la responsabilità della vertenza, della sorte e del benessere di alcune centinaia di persone e cerco di cambiare discorso dicendogli che non sapevo che quel terreno, che costeggio da dodici anni a questa parte, fosse suo. Mi risponde che, prima di entrare in Fiat, nel 1979, quella era la sua unica fonte di reddito. Coltivava ortaggi, verdura e produceva olio che venivano poi venduti nel mercato ortofrutticolo di Termini Imerese. L’attività contadina è diventata secondaria con l’assunzione in Fiat e con l’insorgere delle prime incombenze sindacali. Per un certo periodo di tempo ha continuato a coltivare la terra, ma sempre in quantità minore e con un numero di prodotti ridotto. Tuttavia, rinunciare ad una entrata economica, seppure esigua, era difficile e allora, per un certo numero di anni, ha invertito il flusso commerciale: piuttosto che vendere i suoi prodotti al mercato ortofrutticolo locale, ha cominciato a comprarli da questo e a rivenderli all’angolo della strada ai villeggianti che, nei fine settimana d’estate, transitavano per le vicine località balneari, spacciando quei prodotti come coltivati da se stesso. Poi gli impegni sindacali sono diventati sempre più gravosi, ha aperto un CAF e, di conseguenza, per alcuni anni ha affittato il suo terreno ad un albanese. Solo da qualche mese, in concomitanza della chiusura dello stabilimento Fiat, ha ricominciato a coltivare la sua terra.
Michele, tuttavia, comincia a diventare impaziente e, a un certo punto, quando Francesco fa un veloce cenno alla chiusura della fabbrica, ne approfitta per chiedere al sindacalista: “Francé, notizie n’aviemu?”[2]. Francesco, con gli occhi a terra, risponde di no che “i notizi su sempri chiddi![3] ovvero: non ci sono notizie. Poi Francesco, girandosi verso il suo terreno, in direzione dello stabilimento e della città di Termini Imerese, comincia a parlare del periodo in cui, fino agli inizi degli anni Settanta, la Fiat, la Magneti Marelli, la Lear, la Bienne Sud e tutte le altre fabbriche più o meno grandi non esistevano. L’unica parvenza di industrializzazione moderna nel territorio era la centrale Enel, istallata all’inizio degli anni Sessanta. La pianura, attualmente occupata dalla zona industriale, era allora un’unica distesa di carciofi e ulivi. Quello sguardo di Francesco su quella piana è come un grande punto interrogativo su ciò che sarebbe potuto essere, su cosa sarebbe successo se la Fiat non fosse mai arrivata.
Nel frattempo Michele tace. Aspetta un cenno una parola, ma ormai entrambi gli uomini, l’uno di fronte all’altro, sono persi nei propri interrogativi, nei rimpianti e nelle attese: due uomini frantumati e accomunati dalla paura del futuro, dall’incertezza strisciante e profonda che ormai si è impossessata di loro come di tutti i lavoratori di questo paese sempre invischiato in una imperitura crisi d’identità e alle prese con ataviche emergenze sempre uguali e sempre nuove. Sullo sfondo la piana, le fabbriche e la città, il monte San Calogero e questo mare troppo calmo, troppo viscido.


[1]  Nell’ambito della ristorazione locale c’è una netta distinzione, simbolica e sostanziale, fra chi lavora come cameriere fisso (u fissu), come cameriere extra ma sempre nel medesimo ristorante (estra-fissu), come nel caso mio e di Michele, e chi, invece, come cameriere extra, per così dire, itinerante, che cioè lavora in diversi locali della zona quando e dove c’è più richiesta (estra). Generalmente gli estra-fissu e gli estra sono persone che svolgono altre attività, come operai, impiegati e studenti, e che nel tempo libero si guadagnano da vivere o integrano i loro stipendi prestando servizio nei locali della zona. Questi lavoratori vengono pagati di più rispetto ai fissi (rispettivamente circa 60/65 euro per 8 ore di lavoro a fronte dei 30/40 euro per una giornata lavorativa) e tendono a svolgere la loro attività in nero, spesso per una propria richiesta legata alla pressione fiscale. Generalmente gli estra e gli estra-fissi tendono a concentrare molte ore di lavoro nei pochi giorni liberi che hanno a loro disposizione per tesaurizzare quanto più possibile il loro tempo. È usuale che essi tendano spesso a fare le doppie, cioè a coprire il pranzo e la cena del ristorante con le relative complesse preparazioni che iniziano alle 9,00 del mattino fino alla chiusura del locale, che non avviene mai prima dell’una del mattino e comunque spesso si protrae fino a notte fonda. In questi casi si dà vita ad una vera e propria estenuante resistenza fisica, dal momento che gli estra-fissi e gli estra lavorano senza interruzione di sorta per tutta la durata della loro giornata, saltando spesso sia il pranzo che la cena. Naturalmente le doppie sono ambite da questa categoria di camerieri perché vengono pagate il doppio (circa 120/130 euro) rispetto ad un normale servizio. A questa paga vanno aggiunte le mance dei clienti che fanno in modo che in 16-18 ore di lavoro il salario degli estra e degli estra-fissi arrivi a circa 140-150 euro.
[2]              Francesco notizie [della vertenza] ne abbiamo?
[3]              “Le notizie sono sempre quelle!” I due uomini si riferiscono, in questo caso, a notizie che dovrebbero provenire da almeno due fronti. Il primo riguarda il processo di re-industrializzazione, in ritardo di un anno, che l’azienda DR Motor dovrebbe attuare, ma a cui manca la liquidità economica necessaria per coprire gli investimenti. Il secondo fronte riguarda l’ambito politico-istituzionale con la presa in carico da parte dell’assessore regionale Linda Vancheri, per conto del Presidente Regionale Rosario Crocetta, del compito di ricercare altri investitori capaci di installare attività produttive nell’area industriale di Termini Imerese.

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