Racconti dal mondo precario

sabato 28 settembre 2013

Storie di fabbrica «Parravi mali? Na Santa inquisizione, nna cruci e t'abbruciavanu!»

Il Bolscevico arriva sulla sua Panda bordeaux vecchio modello. Non l'ho mai visto prima. L'ho solo sentito per telefono, ma quando scende dall'auto capisco che è l'uomo che sto aspettando. Cappello in pile nero da cui spuntano ciocche di capelli anch'essi neri con dei riflessi argentei, giubbotto sportivo nero, pantaloni da tuta e scarpe da corsa. Ha un fisico asciutto, il Bolscevico, un viso in cui i cinquant'anni di questo operaio hanno lasciato un solco: attorno agli occhi, sulla fronte, fra il contorno della bocca e le guance è un continuo spalancarsi di valli, di righe, di solchi e per ognuna di queste rughe sarebbe possibile scrivere una storia. La barba nera e incolta su cui spunta qualche pelo bianco mi ricorda vagamente Er Monnezza, il famoso personaggio di film polizieschi degli anni Settanta interpretato da Tomas Milian. Mi viene dritto incontro, mi stringe la mano e mi chiede di seguirlo.
Arriviamo nella locale sede di un noto sindacato, ci sistemiamo nella sala delle riunioni e il Bolscevico inizia a raccontarmi la sua storia.
Quarantanove anni di cui gli ultimi trentaquattro passati a lavorare in varie realtà della zona. Il primo lavoro che ha svolto fu quello di operaio in una fabbrica di ceramica che da un giorno all'altro i lavoratori trovarono chiusa: i proprietari avevano delocalizzato l'azienda e smontato tutti i macchinari nel giro di un fine settimana all'insaputa dei lavoratori. È durante questa occasione che il Bolscevico entrò in contatto con il sindacato. Poi è stato muratore, imbianchino e, infine, alla fine degli anni Ottanta, operaio nel locale stabilimento Fiat. Nel frattempo, ha affiancato alla sua attività sindacale anche l'impegno politico nei partiti della sinistra. In fabbrica ha lavorato per circa venticinque anni in vari reparti della linea di montaggio e, a causa del suo impegno politico-sindacale e della “pericolosità” della sua attività di rappresentante dei lavoratori, è stato sempre spostato da un reparto all'altro per evitare che riuscisse a creare uno zoccolo duro di contestazione nei confronti dell'azienda. Come lui stesso racconta: «In questi anni mi sono alternato nel... i primi anni ero alla parte meccanica e c'era un reparto che si chiamava la giostra. C'erano due linee praticamente: una che camminava sotto, con i motori, noi l'alzavamo dalla scocca che veniva sopra. Eravamo chiamati i minatori del... perché era un posto schifosissimo dove tu assemblavi motori, tutta la parte sotto-scocca della macchina. Poi negli anni ho cambiato vari reparti, sono stato in verniciatura sempre in catena di montaggio, poi in lastratura in catena di montaggio, poi sono tornato di nuovo al montaggio mi sono alternato sempre anche... » «Sempre sulla linea?» «Sì, perché io ero anche un soggetto scomodo per l'azienda per il fatto che ho sempre militato in politica, nel sindacato e quindi rompevo un po' i coglioni e quindi mi emarginavano, mi cambiavano spesso di squadra».
Il Bolscevico, però, prima di essere un militante politico, un attivista sindacale e un operaio della Fiat, almeno fino al prossimo 31 dicembre, è anche un uomo pieno di ricordi legati al passato e al luogo in cui sorge lo stabilimento. «Io nasvivi nto '63, me patri o '70 trasiu a Fiat e noi abbiamo avuto, come si dice, un innalzamento sociale... me patri di ncampagna vineva, nuatri pani e cipudda maciavamu va. Me patri trasiu a Fiat e allora gli stipendi si aggiravano intorno alle 100.000 lire al mese; un impiegato in banca nni pigghiava 80. Me patri s'accattò televisioni, lavabiancheria, frigorifero. A televisioni, nno quartieri, l'aviamu sulu nuatri e i cristiani si virevanu a televisioni e i partiti dintra a me casa, ca pariamu a o stadiu... Per farti capire che, la gente come me, che ha avuto questo innalzamento sociale grazie alla Fiat, picchì a Fiat ti ha consentito di fariti na casa, me patri s'accattò l'850 che allora, l'850 era... chi t'ha diri, un Mercedes di ora... si caminava ca Topolina, ca 600, insomma era un machinuni. Perciò hai avuto questo innalzamento sociale grazie alla Fiat... Minchia, regali ai picciriddi, pi Natali, circhi, cinema... cose alla grande, perciò la mia generazione, che è cresciuta con questa fase, gli anni '70, gli anni '80, unni a Fiat ca a Termini era tutto. Minchia, guai ai cristiani ca ci tuccavi... parravi mali da Fiat? Minchia, c'avi a fari... na santa inquisizione, nna cruci e t'abbruciavano: o rogo ti mittevano»1.
Rendere l'idea di un luogo di lavoro scevro da problemi, conflitti, ingiustizie e lotte è fuorviante e la romanticizzazione di un lavoro come quello di fabbrica non è per nulla la mia intenzione, ma credo che se si voglia capire la questione della vertenza Fiat di Termini Imerese, come di qualsiasi altra vertenza, è necessario cercare di inquadrare la questione tenendo conto delle varie posizioni e istanze dei soggetti che sono coinvolti nella stessa vertenza.
Il Bolscevico, così come molti altri lavoratori dello stabilimento, ha conosciuto senza ombra di dubbio quello che lo stesso informatore definisce come un innalzamento sociale, cioè un miglioramento delle condizioni economiche, sociali ed esistenziali grazie all'arrivo della Fiat nel territorio termitano. In questo senso è possibile affermare che lo stabilimento di automobili è stato un luogo che, grazie alla sua funzione di produzione materiale, è riuscito a creare un certo grado di benessere. Quest'ultimo si è palesato con l'arrivo degli elettrodomestici, delle automobili e con la creazione di reti sociali diverse rispetto a quelle che si esperivano e si esercitavano in un contesto di tipo non industriale2. Ma tali elettrodomestici, oltre ad essere degli strumenti di uso quotidiano, erano anche dei simboli da ostentare, davanti alla propria comunità, del proprio innalzamento sociale. Ed è a questo punto che la fabbrica da luogo dove si producono merci, diventa luogo in cui si producono simboli e diventa simbolo essa stessa: di un innalzamento sociale, di un benessere economico, di una soddisfazione personale.
È facile immaginare, a questo punto, cosa è potuto accadere con la chiusura e la conseguenza dismissione dello stabilimento Fiat. Quando, verso la fine della nostra conversazione, chiedo al Bolscevico cosa fa in questo momento è così che mi risponde: «Ma veramente non lo so cosa faccio, picchì mancu u sindacalista fici chiù».
Il Bolscevico: un uomo di mezza età che ha percorso il cammino di ascesa spianato dalla Fiat, che ha sempre trovato nell'attività politico-sindacale un modo per essere partecipe all'interno della propria comunità e un tratto identitario forte tanto da fargli guadagnare il suo soprannome, nella fase di dismissione attuale, non sa più cosa sta facendo. Si trova smarrito a fare i conti con uno stabilimento in dismissione che fino qualche anno fa era il simbolo di un benessere difficile, faticoso, ma possibile e ora è l'emblema di un futuro sospeso, incerto e smarrito ancora tutto da digerire, metabolizzare, rifare.

1«Io sono nato nel '63, mio padre nel '70 è entrato in Fiat e noi abbiamo avuto, come si dice, un innalzamento sociale... mio padre dalla campagna veniva, noi mangiavamo pane e cipolla. Mio padre è entrato in Fiat e allora gli stipendi si aggiravano intorno alle 100.000 lire al mese; un impiegato in banca ne guadagnava 80. mio padre si è comprato la televisione, la lavabiancheria, il frigorifero. La televisione, nel quartiere, ce l'avevamo solo noi e le persone guardavano la televisione e le partite a casa mia, che sembravamo allo stadio... Per farti capire che, la gente come me, che ha avuto questo innalzamento sociale grazie alla Fiat, perché la Fiat ti ha consentito di farti una casa, mio padre si è comprato la 850 che allora, la 850, era... che ti posso dire, un Mercedes di ora... si camminava sulla Topolina, con la 600, insomma era un macchinone. Perciò hai avuto questo innalzamento sociale grazie alla Fiat... Minchia, regali ai bambini, per Natale, circhi, cinema... cose alla grande, perciò la mia generazione, che è cresciuta con questa fase, gli anni '70, gli anni '80, dove la Fiat qui a Termini era tutto. Minchia, guai alle persone che ci toccavano... palavi male della Fiat? Minchia, cosa doveva fare... una santa inquisizione, sulla croce e ti bruciavano: al rogo ti mettevano».
2È il caso, per esempio, delle riunioni di vicinato per guardare la televisione.

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